La psicologia dello sport estremo

Sia da psicologa, che da praticante di vari sport estremi, ho avuto modo di entrare in contatto con molte persone di questo ambiente.
Pj_Ghedina

Qual è l’estremo?

Chi pratica sport estremi non ti dirà mai che fa sport “estremi”; ti dirà, per esempio, che fa dei salti, ma che alla fin fine non rischia quasi nulla, che non supera i suoi limiti ed eventualmente “li sposta un po’ più in là”! Ti potrebbe dire che si sente a suo agio in aria o in alta quota, più che a terra.

Le persone che non fanno sport di questo tipo, faticano a comprendere le sensazioni di forza e leggerezza che si provano stando “sospesi” nell’aria.

Per una persona estranea a quest’ambiente può sembrare impensabile che qualcuno possa avere il coraggio di fare un salto di 20 metri. Per chi invece li fa, può apparire buffo il fatto che una persona, per paura, possa limitare la propria vita.

Chi pratica sport estremi ha delle caratteristiche di personalità tipiche che sono state identificate da Zuckerman, che ha chiamato questa categoria di persone “sensation seekers” (“ricercatori di emozioni”). Tra le caratteristiche principali che li contraddistinguono, emerge un’alta suscettibilità alla noia e quindi la preferenza per le situazioni stimolanti a quelle monotone e certe. Un sensation seeker ha infatti il grande vantaggio di tollerare bene l’incertezza e di essere meno ansioso rispetto alla popolazione generale. Nel senso comune si tende a confondere l’ansia con l’iperattività;  invece l’ansia è la forte preoccupazione, spesso irrazionale, per la possibilità che si verifichi un evento negativo.

I sensation seekers si divertono allenandosi anche per ore e ore senza accorgersene perché, come afferma un autore dal nome impronunciabile (Csíkszentmihályi), “raggiunto il livello massimo di motivazione, non si percepisce più né il passare del tempo, né la fame”.

Mentre si salta non esiste assolutamente nulla oltre a quello che sta succedendo: tutto è chiaro e incentrato sull’attimo presente e ci si sente vivi. In questi momenti si raggiunge l’apice della concentrazione.

Chi riesce bene in uno sport estremo è difficile che circoscriva la pratica solo a quello, infatti di solito ne fa almeno due o tre perché cerca quelle emozioni e quindi più ne fa, meglio è. Se è molto bravo in uno, tende ad essere bravo anche negli altri, seppur molto diversi.

Chi pratica sport estremi riferirà che gli va quasi sempre bene quando prova nuovi “trick” (manovre), che ha avuto svariati infortuni, ma che questo fa parte del gioco e, se non ha più vent’anni, che ha imparato a trattenersi dall’azzardare manovre nuove quando subentra la stanchezza.

I sensation seekers sono persone esploratrici, che viaggiano molto; essendo socievoli, conoscono tantissime persone e per questo ottengono maggiori informazioni sull’ambiente che li circonda. Essi sviluppano più competenze rispetto alle persone che sono appagate da quello che già sanno, o che rifuggono intimoriti da tutto ciò che è nuovo.

I sensation seekers spendono molti soldi in attrezzatura e in trasferte, investono tempo ed energie nelle attività praticate, talvolta litigano con il/la partner, rischiano la vita o gravi infortuni e, nemmeno in caso di successo agonistico, si garantiscono un futuro economico.

Le motivazioni che spingono a cimentarsi in sport estremi sono infatti molto più profonde; unicamente chi è a fine carriera punta a farlo solamente per il denaro e/o per beni materiali, mentre quando si intraprende la vita da professionista in uno di questi ambiti, le motivazioni sono molteplici e radicate al punto da apparire come una scelta di vita alla quale non ci si può sottrarre.
Le ragioni sono di tipo psicologico, quindi relative alle caratteristiche di personalità, nonché biologiche e sociali. C’è infatti una componente biologica che spiega perché ci siano più maschi che donne a praticare sport estremi. La componente sociale definisce quale sia uno sport prettamente maschile o femminile; tale componente però si è modificata negli ultimi anni e difatti sta aumentando la percentuale di donne sensation seekers.

Alcune persone hanno quindi la spinta a fare qualcosa di oggettivamente pericoloso, qualcosa che non si può esattamente sapere come andrà, e in questo caso il rischio riguarda l’incolumità.

“Nel momento in cui sei giovane, sei legato molto alle filosofie. Diventando più grande ed avendo figli, avendo quindi maggiori responsabilità, sono stato portato non a rischiare meno, ma a ponderare di più, a chiedermi se la mia vita vale già abbastanza così o se è il caso di rischiare di più. La mia vita però è questa e le cose le faccio comunque usando più ragione e talvolta rinunciando.

Mi è anche capitato di restare sotto ad una valanga…mi ha fatto capire quanto si debba essere preparati per fare certe cose e quanto le esperienze ti facciano conoscere l’ambiente che ti circonda”, Massimo Braconi.

 

Dott.ssa Mariapia Ghedina