PERFEZIONE O NORMALITÁ?

Qualsiasi pubblicità, libro, film sulla riuscita nella vita e sulle regole base per avere successo si basano su dei mantra che fanno capo ad un solo consiglio: “Credete in voi stessi!”, al quale vanno aggiunti i classici “Non mollate mai!”, “Siate sinceri con voi stessi!”, ecc.
Parole sante, di cui nessuno pare dubitare, per il raggiungimento degli obiettivi, ma viene a questo punto da chiedersi: “Aspiriamo alla perfezione o alla normalità?”.Alcune ricerche si sono soffermate sulla tendenza di diversi soggetti a raggiungere la perfezione, persone che perdono il controllo se le cose non vanno come vogliono, rimanendo fermamente ancorate ad una visione della vita che tende alla linearità, al successo ed alla buona riuscita di tutto ciò in cui si cimentano. Sono i cosiddetti “perfezionisti”.Una ricerca canadese dimostra come alcune tendenze a voler fare sempre meglio nel lavoro e nella vita quotidiana privata e sociale spesso nascondano patologie mentali come la depressione, i comportamenti compulsivi, fino ad arrivare a forme di dipendenza. La ricerca, condotta da Gordon L. Flett dell’università di York in Canada, ha voluto dimostrare come i perfezionisti nascondano in realtà un disagio mentale che viene celato attraverso comportamenti che tendano appunto alla perfezione sia nel lavoro che nella vita privata.

I soggetti della ricerca sono stati divisi in tre categorie in base alle risposte date a dei questionari standard:
– gli autocritici, quelli che si impegnano per essere all’altezza ma si pongono degli standard troppo alti che se non raggiunti portano alla depressione;
– gli zelanti, i quali proiettano all’esterno degli standard perfetti che richiedono agli altri e che di conseguenza rovinano il rapporto con le persone perché questa perfezione viene sistematicamente disattesa;
– quelli con sete di riconoscimento, coloro che sentono un impellente bisogno di essere all’altezza di un perfezionismo che credono gli altri si aspettino da loro; anche in questo caso l’idea del fallimento per non aver soddisfatto le richieste esterne porta a depressione, disturbi alimentari o addirittura al suicidio.

Secondo le parole del dott. Flett, è normale che ci sia la tendenza in ognuno di noi a raggiungere e mantenere alti standard di performance, soprattutto nell’ambito lavorativo – è la società che ce lo richiede – tuttavia la tendenza di alcuni soggetti a voler dare ed a pretendere anche nella vita privata gli stessi standard di alto livello può portare a problematiche relazionali, soprattutto in ambito familiare.

Ciò che più lascia incuriositi è che le persone che hanno la tendenza al perfezionismo – a differenza di chi presenta disturbi psicologici di altro tipo – non considerano un disonore essere tali. Ad affermarlo è Alice Provost della California University la quale organizza gruppi di persone che soffrono di impulsi perfezionisti. Questi soggetti sono orgogliosi di avere questa caratteristica di personalità che ovviamente la società, soprattutto in ambito lavorativo, tende a rafforzare ed a premiare. Il sentimento di base è che bisogna impegnarsi a sostenere ritmi alti sul luogo di lavoro altrimenti nasce la sensazione che gli altri perdano la stima in loro.

Nel modo di pensare di chi ha una dipendenza c’è un solo tipo di ragionamento: “o sei pulito o non lo sei”, infatti per alcuni cedere una sola volta ad una sigaretta o ad un bicchiere di alcool può significare uno scivolone, cedervi una seconda volta rappresenta una ricaduta ed una volta ricaduti, tanto vale mollare.
L’approccio del “tutto o niente” nelle cliniche che si occupano di trattamento delle dipendenze ha funzionato e funziona tutt’oggi con alcune persone, ma non con i perfezionisti. Ciò perché, il perfezionista mostra dei comportamenti ossessivo-compulsivi, anche una scrivania in disordine non è accettabile per una persona che mira alla perfezione sotto tutti i punti di vista, così come è inconcepibile lasciare un lavoro a metà. Alcuni impiegano tempi lunghissimi a fare e rifare cose già fatte, solo nel tentativo di migliorare e soddisfare un ideale che solo loro riescono a vedere.
Nelle sue attività di gruppo la Provost chiedeva ai partecipanti di fare le cose senza quell’eccessivo impegno che mettevano normalmente, come: lasciare il lavoro in orario, prendersi tutte le pause che gli erano consentite, addirittura lasciare la scrivania non in ordine, tutte cose che non avevano nessuna ricaduta sul lavoro in generale. Quando i perfezionisti ci riuscivano, alla domanda se si sentissero puniti o fossero più contenti, essi si rendevano stranamente conto di non sentirsi in colpa e che tutto continuava a funzionare rendendo i comportamenti precedenti non così essenziali.

Ciò a dimostrazione del fatto che se ci si prende gioco della paura di sbagliare, anche se non si riesce a tollerare il proprio peggio, si può essere sinceri con se stessi dimostrando che non tutto ciò che si fa in modo ossessivo e perfezionista ha un valore reale per il proprio benessere, ma semplicemente nasconde qualcosa di più profondo.
Preferire uno stile di vita più sereno associato ad un’esistenza semplice aiuta, e anche molto. Non tutti però ne sono capaci, dal momento che alcune persone pensano che il perfezionismo sia genetico, quando invece è psicologico e dunque, come tutte le componenti psicologiche, presenta un margine di cambiamento.

© Dott. Pasquale Saviano
Psicologo – Psicoterapeuta