PERCHE’ LE DIETE FALLISCONO?

“Dottoressa, mi creda, io vorrei perdere peso… Ci ho provato tante volte, ma proprio non ce la faccio!”

Questa frase, pronunciata infinite volte nel mio studio, mi ha sempre fatto riflettere molto e mi ha dato lo spunto per un creare un piccolo ciclo di articoli dove si riflette sulla connessione tra alimentazione e psicologia.

Vorrei iniziare questo percorso proprio analizzando questa frase: “…mi creda, Io vorrei…, ma…”

Analizziamo meglio la richiesta: da un lato ci si reca da un professionista nel settore a chiedere consulenza e questo è già un grande passo avanti perchè significa che si è passati dal pensiero all’azione e che, responsabilmente, si è deciso di affidarsi ad un professionista; MA contemporaneamente si pone davanti a tutto il “NON CE LA FACCIO, NONOSTANTE CI ABBIA PROVATO”.

Se dovessi rileggere la richiesta che sento arrivare dalle persone, la tradurrei come: “Dottoressa, mi dia la dieta giusta per me oppure mi confermi che proprio non esiste una dieta adatta per me e per le mie esigenze, anche se io la vorrei tanto.”

Nel 2018 credo siano ormai state inventate e proposte le diete più disparate… Sorvolando su quelle più insensate e nutrizionalmente sbilanciate proposte da sedicenti “addetti ai lavori”, esistono diversi regimi alimentari validi che, calibrati sulle corrette esigenze di ognuno, possono funzionare molto bene…

E ALLORA COME MAI TANTE DIETE, ANCHE SENSATE, FALLISCONO? PERCHE’, SE ANCHE SI PERDE PESO, POI LO SI RIPRENDE CON GLI INTERESSI?

Le diete possono fallire in vari punti:

  • prima ancora di essere avviate: si legge il programma e lo si trova troppo restrittivo, troppo impegnativo da seguire, troppo lungo e, nel dubbio, non lo si inizia neanche;
  • dopo pochi giorni dall’inizio: si accusa costantemente “fame”, ci si sente stanchi, si fa fatica a rispettare quanto prescritto e si ha sempre più voglia di “sgarrare”;
  • dopo aver raggiunto i primi risultati: si è stufi di sentirsi dire cosa mangiare e cosa no, in fondo fino a lì ha funzionato e si pensa che ci si possa concedere qualche “lusso” aggiuntivo;
  • a fine percorso: una volta raggiunto l’obiettivo che si desiderava (sia esso di benessere estetico o di regolarizzazione di esami ematochimici, ecc…) si torna alle precedenti abitudini, ritenendo che la “cura” sia conclusa.

Ad ogni tappa, quello che può “andare storto” è strettamente connesso col vedere la dieta come “una punizione”, “una pena di tot tempo da scontare, dopo la quale si potrà tornare alla libertà” . 

Inoltre mangiare è uno dei bisogni fisiologici primari per l’uomo e un cambiamento a questo livello può venire vissuto come un “attacco alla sopravvivenza e alla propria incolumità”. 

E non vanno trascurate tutte le connessioni sociali che passano attraverso il cibo, per cui si pensa che modificando la propria condotta alimentare verranno messe a rischio occasioni conviviali, di scambio e interazione con il proprio gruppo di appartenenza (famiglia, amici, colleghi).

QUINDI?

E’ possibile dare una rilettura di tutti questi aspetti, provando ad andare all’origine del termine ‘dieta’ , che deriva dal greco “díaita” e significa ‘modo di vivere’ .

Un modo di vivere non può essere una condanna, un attacco alla sopravvivenza o ancora uno spunto di esclusione dal sociale. E’ una cosa che si sceglie e non si subisce, che si può e si deve personalizzare e adattare, che non fa vivere di privazioni e occasionali “permessi premio”, ma va costruito con consapevolezza e costanza in modo da non avere nè una fine nè un inizio e portare ad uno stato di reale benessere fisico ed emotivo!

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