Come il cinema racconta l’Alzheimer

“STILL ALICE” è un  film  del 2014 tratto dal romanzo di Lisa Genova, il quale racconta la storia di una donna brillante, una docente di Linguistica che insegna alla Columbia University. Alice conduce una vita tranquilla, piena di impegni e soddisfazioni che condivide con la propria famiglia. Alla soglia dei cinquanta anni le viene diagnosticata una forma precoce di Alzheimer di origine genetica e la sua esistenza va in pezzi. Si rende conto fin da subito che c’è qualcosa in lei che non va; inizia a dimenticare gli appuntamenti importanti, vive uno stato di spaesamento molto forte tanto che non riconosce alcuni luoghi, prima dell’esordio della malattia, familiari. Da subito si interroga chiedendosi come sia possibile tutto ciò. Le dimenticanze sono un primo campanello di allarme, e vengono lamentate dai pazienti stessi che si sentono confusi, la sensazione riferita è quella di annebbiamento. Non si ricordano più i nomi di persone appena conosciute, una scena del film illustra bene questa problematica, oppure i numeri di telefono recenti, così come sono presenti dei problemi di orientamento spazio temporale che intaccano la vita quotidiana della persona.

L’esordio dell’Alzheimer può anche avvenire precocemente, insorgendo prima dei cinquanta anni di età, esattamente come per la protagonista del film. Esistono poi delle forme di questa patologia che si manifestano intorno ai settantacinque anni o anche verso la fine della vita (forme tardive). Inoltre il decorso della patologia può essere lento oppure al contrario questa può progredire velocemente, tanto che nel giro di pochi mesi il paziente si trova a vivere in uno stato di quasi totale non autosufficienza. La prognosi è infausta perché al momento non esistono ancora delle cure capaci di arrestare il processo degenerativo ma avviene un rallentamento di questo e alcuni sintomi si attenuano. La diagnosi certa della patologia di Alzheimer avviene solo dopo la morte tramite esame autoptico. Paura, rabbia, tristezza, rassegnazione, vergogna, queste le emozioni provate da chi si trova a vivere una tale condizione, la sensazione di vuoto, la nostalgia nel ripensare al passato, a quando si viveva un’esistenza in cui era possibile svolgere autonomamente qualsiasi attività. In una scena del film, la protagonista partecipa ad un convegno sull’Alzheimer e legge un discorso scritto da lei che ha formulato con fatica, con difficoltà e non può fare altro che pensare a quando insegnava la sua materia senza alcuno sforzo. La famiglia riveste un ruolo fondamentale perché sostiene Alice in tutte le fasi della malattia, le rimane vicina, la incoraggia e le dona amore, nonostante per loro rappresenti un’esperienza dolorosa. Alice durante il convegno afferma:” Non sto solo soffrendo, sto lottando per rimanere in contatto con quella che ero una volta. ” Una frase toccante che emoziona tutti i presenti compresi i membri della sua famiglia. La malattia annulla tutto, di colpo! Diventa complicato anche preparare un pasto perché viene invertito l’ordine degli ingredienti o anche questi vengono sostituiti con altri, spesso si assiste ad un cambiamento di personalità che i familiari soprattutto vivono con estremo disagio. Fondamentali diventano i gruppi di sostegno per i familiari che condividendo i propri vissuti dolorosi con altre persone non si sentono soli, abbandonati ma compresi. È proprio la condivisione delle emozioni con altri che permette di tirare fuori, di esternare il dolore e la rabbia in modo da liberarsi dei sensi di colpa che spesso si trovano a vivere assistendo il proprio caro. Si  tratta  di  un  film  che  illustra  in  maniera  molto  chiara  ciò che  accade  nella  realtà e  cioè il  disagio  che si prova  durante l’esordio dei  sintomi, le  visite e  gli  esami  a  cui  ci  si  sottopone  e  la formulazione della  diagnosi, così come  i  sentimenti di  negazione per  la  propria condizione  e  il  dolore  dei  familiari, l’incertezza per  il  futuro  e  la  voglia  di  mettere  fine  al  dolore  una  volta  per  tutte.