Ma che brutto carattere!

Chi almeno una volta non si è sentito dire o si è detto a stesso “ma che brutto carattere che hai!”

In realtà buon carattere o cattivo carattere non esistono in senso assoluto; esiste un insieme di caratteristiche che ci contraddistingue. In noi convivono coppie di opposti ed è la predominanza di uno sull’altro a determinare il nostro carattere. Talvolta per piacere o assecondare gli altri, limitiamo l’espressione di alcuni nostri lati, identificandoci e polarizzandoci solo su determinate nostre caratteristiche a discapito di tutte le altre, poichè con esse contraddittorie: nasce allora la dicotomia “buono/cattivo”.  Molti pazienti mi dicono “io non sono così”, ma è proprio in quel “così” che risiede il germe del cambiamento, ed infatti ribatto “no, tu sei anche così”. Pensare di essere solo in un modo, significa rinunciare all’infinita ricchezza ed originalità che ci appartiene dalla nascita.

Quando ci facciamo guidare dalla nostra natura, dalla nostra indole, ci sentiamo in armonia con noi stessi e l’esterno, ponendo le basi per crescere e maturare. Quando non siamo naturali, invece, ci comportiamo sempre nello stesso modo, ci fissiamo in un’immagine statica che ci allontana dalla vitalità generando un senso di malessere più o meno definito.

Vediamo 4 possibili vie facilitatrici all’espressione di noi stessi:

  1. Spontaneità: Chi segue le proprie inclinazioni non ha bisogno di calcolare ogni gesto e può agire in modo naturale lasciando fluire liberamente ciò che sente.
  2. Assenza di giudizio: Ciò che ci porta a reprimere il nostro carattere autentico è il giudizio a cui lo sottoponiamo, è giusto comportarsi così? Cosa penseranno gli altri? Chi è in sintonia con il suo modo di essere non rinuncia a esprimersi e se ne assume le sue responsabilità.
  3. Accogliere l’imprevedibilità: Ci sono tratti del nostro carattere che emergono inaspettatamente in determinate circostanze e ci fanno dire: «Non mi riconosco più». E’ proprio lì che dobbiamo fermarci ed osservarli senza giuducarli e giudicarci.
  4. Integrazione degli opposti: Tutti siamo abituati ad autodefinirci tracciando un preciso elenco degli atteggiamenti che compongono il nostro abituale modo di essere. Accanto a questi tratti dominanti però esistono quelli che Jung chiama “ombra” ovvero i nostri lati più oscuri, spesso sconosciuti anche a noi stessi. Le due facce del nostro carattere si compenetrano: una non esiste senza l’altra. Individuarli ci farà cogliere la complessità e la pienezza che ci contraddistingue, legittimandoci a vivere finalmente a 360° e senza sensi di colpa. Integrando quei tratti, che fino ad oggi consideravamo estranei, come parte integrante di noi, ci accorgeremo che iniziamo ad accettare di poter essere anche così, ed allenteremo il freno su essi ponendo le basi per la loro emersione.