Amusia: “la musica mi irrita, come pentole che sbattono”

“L’uomo che non ha alcuna musica dentro di sé, che non si sente commuovere dall’armonia di dolci suoni, è nato per il tradimento, per gli inganni, per le rapine. I motivi del suo animo sono foschi come la notte: i suoi appetiti neri come l’erebo. Non vi fidate di un siffatto uomo. Ascoltate la musica”

William Shakespeare

Il nostro mondo è permeato di musica. Molto spesso ci scopriamo a canticchiare, a muovere un piede a ritmo, a tamburellare con le dita sul tavolo, senza nemmeno esserne completamente coscienti. Non c’entra (o c’entra poco) la razionalità; in un certo senso la musica ci ricorda che abbiamo un’anima. Certo è questa intuizione che ha spinto Shakespeare a scagliarsi con tanta diffidenza contro chi “non ha musica dentro di sé”. Evidentemente chi non ha musica dentro di sé, non ha nemmeno un’anima. Se ce l’avesse, non potrebbe evitare quel trasporto mistico.

amusia

E’ proprio questa capacità di aggirare le barriere della razionalità che ci fa vivere l’esperienza musicale come un’emozione assolutamente naturale, spontanea e sorta direttamente “dal cuore”. Però, ci sono anche quelli che la musica non l’ascoltano. Che non la capiscono. Che non si commuovono.

Alcuni di loro potrebbero essere amusici. L’amusia è – intuitivamente – l’incapacità di apprezzare o creare musica. E’ praticamente una mancanza di armonia. Non è assimilabile al daltonismo (in quel caso sono i recettori per i colori a essere danneggiati o mancanti, mentre nell’amusia l’orecchio è perfettamente sano e in grado di recepire i suoni), è più comparabile alla dislessia. Come per la dislessia, non esistono impedimenti sensoriali veri e propri. E’ l’elaborazione che manca. Non ci rendiamo conto di quanto sia complicato per il nostro cervello (e per qualunque macchina, in realtà) decodificare le singole lettere, le singole parole e ricomporle poi in un discorso organico. Per la musica il problema è analogo: la musica è – in effetti – un linguaggio, ed è per questo che riesce a comunicare così bene con i nostri sentimenti. Come tutti i linguaggi deve essere decodificata, ed è davvero un lavoraccio. A chi fosse interessato ad approfondire l’aspetto neuro-scientifico di questo “lavoraccio”, consiglio Musicofilia di Oliver Sacks, edito da Adelphi.

Molti amusici possono confermare che, per loro, essere costretti ad ascoltare un concerto è un po’ come essere costretti ad ascoltare due pentole che sbattono una contro l’altra. Altri riferiscono solo una profonda indifferenza nei confronti dei suoni. Le testimonianze più interessanti sono date da coloro che diventano amusici in seguito a un trauma. Essi possono fare dei paragoni tra la vita prima e dopo l’incidente, e sono in grado di farci intuire meglio che cosa significa perdere la capacità musicale. Capiamo proprio grazie a loro che questa condizione è una vera “perdita”.

Alla luce di una nuova consapevolezza, le parole di Shakespeare diventano meno convincenti, non proviamo più diffidenza verso chi non può godere della musica. Con questo, non voglio nemmeno dire che dobbiamo sentirci spinti a provare compassione. Chi può dire che il proprio mondo sia effettivamente il più ricco? Basti pensare che la maggior parte di noi, ad esempio, non possiede l’orecchio assoluto: cioè la capacità innata di discriminare la frequenza delle note, una capacità affascinante ma estremamente rara. Con tutta la nostra squisita sensibilità musicale, non saremo mai in grado di comprendere che cosa significano le parole di Diana Deutsch: “Supponiamo che io senta un fa diesis suonato al pianoforte. Provo un forte senso di familiarità nei confronti della sua peculiare qualità di fa diesis, come la sensazione che si prova riconoscendo un volto noto. Ogni frequenza possiede un aroma, o trasmette una sensazione”. Anche il nostro mondo sembra irrimediabilmente povero rispetto a quello di una persona con questo senso aggiuntivo, l’orecchio assoluto. Quindi non abbiamo nessun diritto di considerare gli amusici degli insensibili, e nello stesso tempo non hanno bisogno di essere compatiti, anche se – va ricordato – per un amusico (molto, ma molto più che per uno stonato!) vivere in una società intensamente musicale come la nostra, può comportare dei disagi sociali… anche senza avere implicazioni cliniche rilevanti.

Curiosità: Nabokov, nella sua autobiografia, ricorda: “la musica, mi rincresce dirlo, mi sembra soltanto una successione arbitraria di suoni più o meno irritanti. Il pianoforte e tutti gli strumenti a fiato mi tediano a piccole dosi e mi esasperano a dosi maggiori”. Anche Freud scrive qualcosa di simile, provando però a trovare una spiegazione diversa, come se la sua mente operasse una resistenza: “…per esempio per la musica, sono quasi incapace di godimento. Una disposizione razionalistica o forse analitica si oppone in me a ch’io mi lasci commuovere senza sapere perché e da che cosa”. Non abbiamo nessuna possibilità di fare una diagnosi di certezza, ma forse ci sono i presupposti per pensare ad una amusia.

Un po’ di dati: Non siamo autorizzati confondere sordità tonale e amusia. La prima è molto comune, ma anche persone stonate come una campana possono provare piacere ascoltando musica. La seconda è molto rara e interessa, forse, meno del 5% della popolazione. Sottolineo il forse, in quanto non molti di coloro che provano insofferenza o indifferenza per la musica, sono spinti a recarsi da un neurologo. La condizione quindi rimane verosimilmente sotto-diagnosticata. Esistono amusie congenite e post-traumatiche; i danni interessano in entrambi i casi la corteccia uditiva, oppure cortecce associative gerarchicamente superiori, come le aree frontali o temporali. E’ tipico l’interessamento del sistema limbico. In realtà, la musica è un’esperienza olistica per il nostro cervello, e praticamente non esistono aree escluse. Perfino le aree motorie si attivano, per tenere il ritmo, o le aree visive (e i neuroni a specchio!), quando osserviamo dei musicisti o dei ballerini. E’ davvero difficile comprendere cosa accade quando il cervello affronta un’esperienza “musicale”.

Approfondimenti: Daniel Levitin, Fatti di musica. La scienza di un’ossessione umana; Codice Edizioni, 2008. Oliver Sacks, Musicofilia; Adeplhi, 2009.
Mara Pelusi